Lo Scalogno di Romagna IGP è probabilmente uno dei primi ortaggi coltivati in Italia, pensate che ci sono testimonianze certe della sua coltura in terra romagnola che risalgono almeno al 1000 a.C.
Ieri come oggi, possiamo assaporare il gusto unico della “scalogna” grazie agli sforzi di solerti agricoltori che hanno tramandato di padre in figlio tutti i segreti di questa coltivazione.
Dirigiamoci verso Faenza e dintorni alla scoperta dello scalogno più buono d’Italia.
Scalogno di Romagna IGP: da 5000 anni allieta i palati romagnoli
In Romagna, questo ortaggio (Allium ascalonicum) viene coltivato da sempre, tanto da esser considerato parte integrante della cultura del territorio. Pare che questa bulbosa abbia raggiunto l’Italia circa 5000 anni fa, quando delle popolazioni nomadi si spostarono dalla Palestina verso l’Europa.
Originario della cittadina di Ascalone secondo Dioscoride, che lo definisce “bulbo Ascalonites”, la “scalogna” trovò un ambiente di crescita ideale proprio in Romagna, dove viene coltivato ormai da almeno 3000 anni.
Una coltura i cui segreti son stati tramandati per generazioni fino a raggiungere i nostri tempi, e ancor oggi possiamo assaporare il gusto vero e antico di un ortaggio che ha necessariamente influenzato la cultura di una regione.
Il sapore della scalogna è proprio quello che potevano assaggiare i nostri più antichi antenati:
- la pianta infatti non produce fiore (e quindi nemmeno seme) quindi si impiantano i bulbilli scelti dell’anno precedente, i quali non possono che produrre una pianta identica alla madre;
- questa tecnica di propagazione non intacca il corredo genetico del vegetale, ed è solo grazie a questa peculiarità che possiamo affermare che - potenzialmente - sono almeno 5000 anni che assaporiamo cloni di una pianta ancestrale di scalogno.
Amato da Carlo Magno, citato da Boccaccio e nella letteratura romana antica, lo Scalogno di Romagna ha valicato il tempo non senza gli sforzi di molti agricoltori che hanno continuato a impiantare questi bulbi anno dopo anno. Fortunatamente nel 1997 lo scalogno più rinomato d’Italia ha ricevuto il marchio IGP, e con esso il pubblico ha ritrovato interesse in questa coltura.
Nel 2018 si è formato il Consorzio di Tutela e valorizzazione dello Scalogno di Romagna IGP, andando a confermare l’importanza che ha questo ortaggio nel territorio.
La coltivazione: una tradizione immutata da millenni
Lo Scalogno di Romagna IGP può vantarsi di questo marchio solo se viene coltivato in uno 16 comuni accreditati dell’appennino romagnolo compresi nella zona tra Dozza, Mordano (Bologna), Faenza (Ravenna) e Tredozio (Forlì).
I bulbilli migliori recuperati dal raccolto dell’anno precedente vengono messi a dimora intorno a novembre-dicembre, in un terreno in cui non sia stato coltivato scalogna per almeno 5 anni.
- Amante del sole e dei suoli ben drenati, è una specie che cresce senza tante difficoltà se può avvalersi di un ambiente vocato.
- La raccolta avviene tra metà giugno e metà luglio quando la vegetazione delle piante comincia a rinsecchirsi; nel primo mese si recuperano dal suolo i bulbi destinati al mercato fresco mentre nel periodo successivo quelli da proporre secchi, in trecce o retine.
- Lo scalogno appena colto viene riposto in un ambiente riparato e ventilato per alcune settimane, prima che gli agricoltori più esperti comincino a selezionare i bulbilli utili per l’impianto dell’estate successiva.
Un sapore unico che in cucina si abbina facilmente
Bulbo con colorazione viola, sfuma verso il bianco ed è contenuto in una tunica (la buccia) di colore variabile dal ramato al porpora.
Ha forma leggermente allungata e un sapore particolare, meno intenso rispetto all’aglio, più forte di quello della cipolla.
In cucina lo si usa crudo in insalata oppure come ingrediente base di soffritti, salse o sughi, come accade, ad esempio, nel condimento delle orecchiette con capesante e verdure miste.
La scalogna può anche esser messa sott’olio o sott’aceto, come nella miglior tradizione contadina: sono molti quelli che han ricordato come i nonni erano soliti dirigersi al lavoro nei campi solamente se accompagnati dai loro scalogni sott’olio.
Qualcuno lo prepara in agrodolce, altri lo caramellano e lo servono come dolce accompagnandolo con la saba, un prodotto tipico ottenuto dalla cottura del mosto di uva Trebbiano. Lo si utilizza anche in molti secondi piatti a base di carne, come arrosti (anche di pollo) o roastbeef, magari insieme a della frutta a guscio come mandorle, anacardi o noci.
Toccasana per la digestione e la circolazione sanguigna
Lo scalogno contiene moltissime molecole utili che concorrono al benessere dell’organismo di chi le consuma, come fanno, in generale, tutte le piante ascrivibili alla famiglia delle Liliaceae.
Lo Scalogno di Romagna conta su un buon contenuto di composti solforosi che esplicano effetti multipli:
- posseggono blande qualità diuretiche e disintossicanti
- migliorano la digestione nel tratto intestinale e ne disinfettano le pareti
- fungono da anti-aging naturale
Non si può scordare che, se da una parte questi elementi sono un toccasana, dall’altra è da imputare proprio a loro il tipico aroma che appesantisce l’alito dopo il consumo di scalogno e affini. Il fosforo, le vitamine del gruppo B e la vitamina A presenti nell’ortaggio sono composti che migliorano il funzionamento dell’apparato circolatorio mentre la buona dotazione di Vitamina C presente nello scalogno assicura un’ottima azione antiossidante ma è a disposizione solo se lo si consuma crudo.